Si parla parecchio di decrescita in questo periodo e forse è comprensibile, visto che il Pil scende un po’ ovunque e qualunque teoria che sostenga che “meno è meglio” viene vista con un interesse. Ho vinto la mia ritrosia e ho letto un po’ di cose. L’idea che mi sono fatto è che la decrescita oscilla tra due poli: quello del banale buon senso e la deriva totalitaria.
La banalità, per quanto di buon senso, è riassunta nell’articolo di Maurizio Pallante sul Fatto di oggi. Pallante non è un economista, stando a Wikipedia è laureato in lettere, quindi non cita dati o ricerche a sostegno delle sue tesi. Che però mi sembrano comunque convincenti, anche se non certo originali: meglio favorire le ristrutturazioni edilizie che fanno risparmiare energia invece che cementificare ancora l’Italia, riciclare invece che consumare risorse naturali, produrre prodotti che si vendono invece che quelli che restano invenduti. Come dargli torto? Tra l’altro tutte queste politiche, se ben applicate, possono contribuire a far salire il Pil, almeno nel lungo periodo, senza per questo ridurre il reddito disponibile ai cittadini. Altro che decrescita, al massimo crescita sostenibile. Certo, se fossi un ministro non assumerei Pallante come consulente se prima non mi stima l’impatto sul Pil e sull’occupazione delle sue idee, ma questo è un altro discorso.
Poi c’è il grande teorico della decrescita, il francese Serge Latouche. Ho letto il suo ultimo libro, “Per un’abbondanza frugale” (Bollati Boringhieri) e l’ho trovato, devo dire, vagamente inquietante. Tutto il volume è una risposta ai critici della decrescita e risulta assai poco convincente. In un passaggio Latouche dice che se tutti consumassimo come gli abitanti del Burkina Faso “ci sarebbe ancora un ampio margine di manovra”. E “si potrebbe arrivare fino a 23 miliardi” di abitanti senza che il pianeta collassi. Alzi la mano chi vuole vivere come in Burkina Faso. Pochi. Certo, la Terra ringrazierebbe. Ma siamo in democrazia, chi lo decide di decrescere? E soprattutto: si può dissentire o si viene costretti a decrescere? E se io voglio farmi la doccia tutti giorni invece che una volta a settimana? La polizia segreta mi entra in bagno? Sto esagerando, ma il punto è chiaro: se si intende la decrescita come una politica economica e non come una somma di scelte libere e individuali, si degenera nello stato totalitario.
Le scelte di consumo, nel mondo occidentale, sono libere. Deciderle dall’alto è possibile, ma non in una situazione di libera scelta. Questo non significa un bivio netto tra laissez faire selvaggio e totalitarismo sovietico. Ma che i consumi si possono influenzare con le tasse, gli sgravi fiscali, le politiche industriali. Possibilmente per migliorare il benessere (non necessariamente i consumi) di tutti. E non per ridurlo.
Scrive Latouche: “La decrescita è un progetto politico di sinistra, perché si fonda su una critica radicale del liberalismo, si ricollega, denunciando l’industrialismo, all’ispirazione originaria del socialismo e mette in discussione il capitalismo secondo la più stretta ortodossia marxista”. A parte la naturale diffidenza che deve suscitare l’abuso di “ismi”, è chiara la matrice culturale. E, come sosteneva Norberto Bobbio in una famosa polemica (nel libro “Quale socialismo?”, da poco ripubblicato), il marxismo non è mai riuscito a elaborare una teoria dello Stato. Men che meno della democrazia. E, in fondo, non ha mai prodotto un sistema sostenibile. Lo stesso Latouche finisce per ammettere che il suo modello è poco più di un esercizio intellettuale, lo fa in un box del libro dal titolo “la transizione”, dedicato al cruciale tema di come passare dalla società attuale a quella della “abbondanza frugale”. Dice Latouche che ci sarebbero “enormi problemi di riconversione dell’apparato produttivo”, del tipo “trasformare le industrie automobilistiche in fabbriche di cogeneratori energetici” (chissà se a parità di occupazione). E tutto questo, ovviamente, con una “ridefinizione del lavoro e l’eliminazione, quanto meno, dei suoi aspetti penosi, in attesa di una sua abolizione”. Amen.
Credo bastino questi esempi a dimostrare che le teorie della decrescita sono o di scarsa utilità o pericolose e per fortuna non vengono prese troppo sul serio, almeno nella versione di Latouche. Non ci sono idee facili per uscire da questa crisi sulle cui cause, comunque, i marxisti come Latouche un po’ di ragione ce l’hanno: non è tutta colpa della finanza, i debiti sono serviti a mantenere un livello di consumi non sostenibile nel lungo periodo.
Ma diventare tutti come il Burkina Faso non mi sembra una via d’uscita allettante.
Stefano Feltri
Giornalista
Economia & Lobby - 17 Febbraio 2012
La decrescita totalitaria
Si parla parecchio di decrescita in questo periodo e forse è comprensibile, visto che il Pil scende un po’ ovunque e qualunque teoria che sostenga che “meno è meglio” viene vista con un interesse. Ho vinto la mia ritrosia e ho letto un po’ di cose. L’idea che mi sono fatto è che la decrescita oscilla tra due poli: quello del banale buon senso e la deriva totalitaria.
La banalità, per quanto di buon senso, è riassunta nell’articolo di Maurizio Pallante sul Fatto di oggi. Pallante non è un economista, stando a Wikipedia è laureato in lettere, quindi non cita dati o ricerche a sostegno delle sue tesi. Che però mi sembrano comunque convincenti, anche se non certo originali: meglio favorire le ristrutturazioni edilizie che fanno risparmiare energia invece che cementificare ancora l’Italia, riciclare invece che consumare risorse naturali, produrre prodotti che si vendono invece che quelli che restano invenduti. Come dargli torto? Tra l’altro tutte queste politiche, se ben applicate, possono contribuire a far salire il Pil, almeno nel lungo periodo, senza per questo ridurre il reddito disponibile ai cittadini. Altro che decrescita, al massimo crescita sostenibile. Certo, se fossi un ministro non assumerei Pallante come consulente se prima non mi stima l’impatto sul Pil e sull’occupazione delle sue idee, ma questo è un altro discorso.
Poi c’è il grande teorico della decrescita, il francese Serge Latouche. Ho letto il suo ultimo libro, “Per un’abbondanza frugale” (Bollati Boringhieri) e l’ho trovato, devo dire, vagamente inquietante. Tutto il volume è una risposta ai critici della decrescita e risulta assai poco convincente. In un passaggio Latouche dice che se tutti consumassimo come gli abitanti del Burkina Faso “ci sarebbe ancora un ampio margine di manovra”. E “si potrebbe arrivare fino a 23 miliardi” di abitanti senza che il pianeta collassi. Alzi la mano chi vuole vivere come in Burkina Faso. Pochi. Certo, la Terra ringrazierebbe. Ma siamo in democrazia, chi lo decide di decrescere? E soprattutto: si può dissentire o si viene costretti a decrescere? E se io voglio farmi la doccia tutti giorni invece che una volta a settimana? La polizia segreta mi entra in bagno? Sto esagerando, ma il punto è chiaro: se si intende la decrescita come una politica economica e non come una somma di scelte libere e individuali, si degenera nello stato totalitario.
Le scelte di consumo, nel mondo occidentale, sono libere. Deciderle dall’alto è possibile, ma non in una situazione di libera scelta. Questo non significa un bivio netto tra laissez faire selvaggio e totalitarismo sovietico. Ma che i consumi si possono influenzare con le tasse, gli sgravi fiscali, le politiche industriali. Possibilmente per migliorare il benessere (non necessariamente i consumi) di tutti. E non per ridurlo.
Scrive Latouche: “La decrescita è un progetto politico di sinistra, perché si fonda su una critica radicale del liberalismo, si ricollega, denunciando l’industrialismo, all’ispirazione originaria del socialismo e mette in discussione il capitalismo secondo la più stretta ortodossia marxista”. A parte la naturale diffidenza che deve suscitare l’abuso di “ismi”, è chiara la matrice culturale. E, come sosteneva Norberto Bobbio in una famosa polemica (nel libro “Quale socialismo?”, da poco ripubblicato), il marxismo non è mai riuscito a elaborare una teoria dello Stato. Men che meno della democrazia. E, in fondo, non ha mai prodotto un sistema sostenibile. Lo stesso Latouche finisce per ammettere che il suo modello è poco più di un esercizio intellettuale, lo fa in un box del libro dal titolo “la transizione”, dedicato al cruciale tema di come passare dalla società attuale a quella della “abbondanza frugale”. Dice Latouche che ci sarebbero “enormi problemi di riconversione dell’apparato produttivo”, del tipo “trasformare le industrie automobilistiche in fabbriche di cogeneratori energetici” (chissà se a parità di occupazione). E tutto questo, ovviamente, con una “ridefinizione del lavoro e l’eliminazione, quanto meno, dei suoi aspetti penosi, in attesa di una sua abolizione”. Amen.
Credo bastino questi esempi a dimostrare che le teorie della decrescita sono o di scarsa utilità o pericolose e per fortuna non vengono prese troppo sul serio, almeno nella versione di Latouche. Non ci sono idee facili per uscire da questa crisi sulle cui cause, comunque, i marxisti come Latouche un po’ di ragione ce l’hanno: non è tutta colpa della finanza, i debiti sono serviti a mantenere un livello di consumi non sostenibile nel lungo periodo.
Ma diventare tutti come il Burkina Faso non mi sembra una via d’uscita allettante.
Articolo Precedente
Il venerdì 17 di Angela. Per fortuna che Mario c’è
Articolo Successivo
Crisi greca, la ristrutturazione del debito
tocca solo i privati. Salve le casse della Bce
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Tremano forte i Campi Flegrei: nella notte scossa di terremoto di 4.4, gente in strada (e tensioni) anche a Napoli. Oggi scuole chiuse
Politica
Riarmo, il Pd si spacca, Schlein: ‘Restiamo contrari’. Fronda dem: ‘Serve un confronto’. M5s compatto: ‘Noi coerenti’. Destra divisa: FdI e FI per il sì, Lega vota no
Zonaeuro
Dall’Ue via libera al riarmo di von der Leyen e critiche a Trump: “Bisogna inviare più armi a Kiev”
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Il governo è "determinato" a contrastare l'evasione fiscale e allo stesso tempo alleggerire la pressione sui contribuenti onesti. Per il taglio delle tasse al ceto medio bisognerà aspettare gli esiti a fine marzo della verifica della commissione tecnica sullo stock dei debiti fiscali da 1.275 miliardi di euro. Il nuovo corso del governo per le verifiche ex ante, intanto, sta portando i primi frutti con un calo del 19% dei contenziosi nei primi due mesi dell'anno. Nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2025 alla Camera il viceministro al Mef Maurizio Leo si è soffermato su punti fermi e benefici attesi dalla riforma fiscale.
"Il tema dell'evasione fiscale è sotto gli occhi di tutti, abbiamo un tax gap che oscilla tra 80 e 100 miliardi e dobbiamo assolutamente contrastarlo, come pure la pressione fiscale su cui il governo si è mosso con determinazione, riducendo aliquote da 4 a 3 e rendendo strutturale questa misura cui si aggiunge il taglio del cuneo", ha sottolineato Leo. Accanto a questi due pilastri della lotta all'evasione e della riduzione della pressione fiscale, anche quello della semplificazione e della certezza del diritto, pilastro fondamentale quest'ultimo per "contrastare fenomeni illeciti, ma al tempo stesso attrarre capitali da estero", ha aggiunto.
Il tutto rafforzando 'l'arsenale' ex ante per indirizzare su un percorso di collaborazione i rapporti tra Stato e contribuente. In questa cornice il concordato preventivo biennale e della cooperative compliance stanno portando i primi frutti: nei primi due mesi del 2025 rispetto ai primi due mesi del 2024 c'è stata "una contrazione del contenzioso tributario" con un calo "del 19% dei nuovi giudizio incardinati", ha detto Leo, rilevando che "in alcune corti del Sud il calo si attesta addirittura al 50%".
Si attende per fine mese l'esito della requisitoria tecnica sullo stock dei crediti non riscossi dall'amministrazione fiscale. La Commissione tecnica, istituita presso il Mef sul riordino della riscossione e l'analisi del magazzino in carico all'Agenzia delle entrate-Riscossione "sta facendo la ricognizione e all'esito di questo faremo le opportune valutazioni, penso che entro fine mese avremo dei riscontri", ha detto Leo.
La verifica sui carichi renderà più chiaro il quadro su quanti possono essere abbandonati, quanti gestiti in modo differente e quanti possono, eventualmente, essere oggetto di una rottamazione. Considerando che la montagna dello stock ammonta a 1.275 miliardi e che circa tre quarti sono debito sotto i mille euro si aprirebbero ampie chances di recupero. Ma la prudenza è d'obbligo, visto che molte appartengono a soggetti defunti o falliti.
Dalle risorse eventualmente disponibili si capirà se possibile procedere al taglio Irpef per i redditi fino a 50-60mila euro. "Vediamo le risorse e come si può fare", ha risposto Leo interpellato sulla questione. Al momento il governo può contare sugli 1,6 miliardi del gettito del concordato preventivo biennale che si è chiuso a dicembre scorso a cui andrebbero aggiunti gli incassi del ravvedimento speciale che scade il 31 marzo prossimo.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Il governo è "determinato" a contrastare l'evasione fiscale e allo stesso tempo alleggerire la pressione sui contribuenti onesti. Per il taglio delle tasse al ceto medio bisognerà aspettare gli esiti a fine marzo della verifica della commissione tecnica sullo stock dei debiti fiscali da 1.275 miliardi di euro. Il nuovo corso del governo per le verifiche ex ante, intanto, sta portando i primi frutti con un calo del 19% dei contenziosi nei primi due mesi dell'anno. Nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2025 alla Camera il viceministro al Mef Maurizio Leo si è soffermato su punti fermi e benefici attesi dalla riforma fiscale.
"Il tema dell'evasione fiscale è sotto gli occhi di tutti, abbiamo un tax gap che oscilla tra 80 e 100 miliardi e dobbiamo assolutamente contrastarlo, come pure la pressione fiscale su cui il governo si è mosso con determinazione, riducendo aliquote da 4 a 3 e rendendo strutturale questa misura cui si aggiunge il taglio del cuneo", ha sottolineato Leo. Accanto a questi due pilastri della lotta all'evasione e della riduzione della pressione fiscale, anche quello della semplificazione e della certezza del diritto, pilastro fondamentale quest'ultimo per "contrastare fenomeni illeciti, ma al tempo stesso attrarre capitali da estero", ha aggiunto.
Il tutto rafforzando 'l'arsenale' ex ante per indirizzare su un percorso di collaborazione i rapporti tra Stato e contribuente. In questa cornice il concordato preventivo biennale e della cooperative compliance stanno portando i primi frutti: nei primi due mesi del 2025 rispetto ai primi due mesi del 2024 c'è stata "una contrazione del contenzioso tributario" con un calo "del 19% dei nuovi giudizio incardinati", ha detto Leo, rilevando che "in alcune corti del Sud il calo si attesta addirittura al 50%".
Si attende per fine mese l'esito della requisitoria tecnica sullo stock dei crediti non riscossi dall'amministrazione fiscale. La Commissione tecnica, istituita presso il Mef sul riordino della riscossione e l'analisi del magazzino in carico all'Agenzia delle entrate-Riscossione "sta facendo la ricognizione e all'esito di questo faremo le opportune valutazioni, penso che entro fine mese avremo dei riscontri", ha detto Leo.
La verifica sui carichi renderà più chiaro il quadro su quanti possono essere abbandonati, quanti gestiti in modo differente e quanti possono, eventualmente, essere oggetto di una rottamazione. Considerando che la montagna dello stock ammonta a 1.275 miliardi e che circa tre quarti sono debito sotto i mille euro si aprirebbero ampie chances di recupero. Ma la prudenza è d'obbligo, visto che molte appartengono a soggetti defunti o falliti.
Dalle risorse eventualmente disponibili si capirà se possibile procedere al taglio Irpef per i redditi fino a 50-60mila euro. "Vediamo le risorse e come si può fare", ha risposto Leo interpellato sulla questione. Al momento il governo può contare sugli 1,6 miliardi del gettito del concordato preventivo biennale che si è chiuso a dicembre scorso a cui andrebbero aggiunti gli incassi del ravvedimento speciale che scade il 31 marzo prossimo.
Palermo, 13 mar. (Adnkronos) - All'alba di oggi i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e i Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina hanno effettuato una vasta operazione nelle Province di Messina e Catania, con l’esecuzione di misure cautelari emesse dai Gip dei Tribunali del capoluogo peloritano e di quello etneo, su richiesta delle rispettive Procure, nei confronti 39 persone, a vario titolo indagate, per associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al narcotraffico, numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti - tutti reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale "poiché commessi con metodo mafioso o con il fine di agevolare il clan Cappello-Cintorino' e trasferimento fraudolento di valori.
Le due ordinanze sono il risultato dello stretto coordinamento investigativo attuato tra gli Uffici Giudiziari di Catania e di Messina, sotto la supervisione della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, al fine di monitorare più efficacemente le persistenti attività, anche di sfruttamento economico del territorio, proprie dei citati clan per effetto delle cointeressenze nei territori “di confine” delle due province.
I particolari dell’operazione saranno forniti nel corso di una conferenza stampa che sarà tenuta alle ore 10:30, presso il Palazzo di Giustizia di Messina (via Tommaso Cannizzaro).
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".